“E’ una cosa strana. Quando ti accade di vedere il posto dove saresti salvo, sei sempre li che lo guardi da fuori. Non ci sei mai dentro. E’ il tuo posto, ma tu non ci sei mai.Mi madre continuava a chiedermi perché ero triste, e io avrei voluto dirle che non ero triste, al contrario, avrei voluto spiegarle che c’entrava piuttosto qualcosa tipo la felicità, tipo la devastante esperienza di averla vista, di colpo, e in quella idiota casa lì.”
“Si sedette sui gradini senza entrare. Era ancora buio. C’erano rumori strani, rumori che di giorno non si sentono. Come briciole di cose che erano rimaste indietro, e adesso si davano da fare per raggiungere il mondo, e arrivare puntuali all’alba, nel ventre del rumore planetario”
“Lui pensava, davvero, che gli uomini stanno sulla veranda della propria vita e che questo è l’unico modo possibile, per loro, di difendere la propria vita dal mondo…..
Abbiamo case, ma siamo verande, pensava…Guardava gli uomini e nelle loro commoventi menzogne sentiva lo scricchiolio della sedia a dondolo sulle assi impolverate del porch; ed erano, per lui, buffi fucili carichi le impennate di orgoglio e di penosa autoaffermazione in cui vedeva, negli altri e in se stesso, occultare il verdetto di un esilio perenne….c’era qualcosa di infinitamente dignitoso in quell’indugiare eterno davanti alla soglia di casa, un passo prima di se stessi…
…le notti in cui si alza il vento feroce della verità, la mattina dopo sei costretto a riparare la tettoia delle tue menzogne, con pazienza inossidabile, ma quando il mio amore tornerà sarà di nuovo tutto a posto, guarderemo il tramonto assieme bevendo acqua colorata o quando qualcuno, sfinito ti chiedeva di sederti davanti a lui e ti apriva la sua mente, tirando fuori tutto, davvero tutto, e perfino li quello che capivi era che eravate seduti sulla sua veranda, ma in casa non ti aveva fatto entrare, in casa non ci entrava da anni, ormai, e questa era la paradossale ragione per cui era sfinito, lui, lì, davanti a te… quelle sere in cui l’aria era fredda e in cui il mondo sembrava essersi assentato, d’improvviso ti senti comico, lì, sulla veranda, a fare la guardia contro nessun nemico, ed è una stanchezza che ti morde, e l’umiliazione di sentirti così inutilmente ridicolo, alla fine ti alzi e rientri in casa, dopo anni di menzogne, di simulazioni, rientri in casa sapendo che magari nemmeno ti riuscirà di orientarti, là dentro, come se fosse la casa di un altro e invece era la tua, lo è ancora, apri la porta ed entri, curiosa felicità che non ricordavi, casa tua, Dio che meraviglia, che grembo, questo tepore, la pace, me stesso, alla fine, non uscirò mai più da qui, poso il fucile nell’angolo e imparo di nuovo la forma degli oggetti e le figure dello spazio, mi riabituo alla geografia dimenticata della verità, imparerò a muovermi senza rompere niente, quando qualcuno busserà alla porta la aprirò, quando sarà estate spalancherò le finestre, sarò in questa casa fino a quando sarò, ma…
….ma se tu aspetti e da fuori guardi quella casa, potrà passare un’ora o una giornata intera, ma alla fine tu vedrai la porta aprirsi, senza sapere ne poter capire, mai, cosa può essere successo la dentro, vedrai la porta aprirsi lentamente e lentamente quell’uomo, uscire, invisibilmente spinto fuori da qualcosa che non potrà mai sapere, ma certo deve avere a che fare con qualche vertiginosa paura, o incapacità, o condanna, tanto spietata da spingere quell’uomo fuori, sulla sua veranda, io adoro – diceva il prof. Bandini – l’istante preciso in cui lui ancora fa un passo, con il fucile in mano, guarda il mondo davanti, sente l’aria pungente addosso, si alza il bavero della giacca e poi – meraviglia – torna a sedersi sulla sua sedia e appoggiando la schiena la rimette in movimento, dondolio mite che si era addormentato, rassicurante rollio della menzogna, adesso culla la serenità di nuovo ritrovata...
…se ci pensi, pensa a quante case vuote, a centinaia, dietro la faccia della gente, alle spalle di ogni veranda, migliaia di case perfettamente in ordine, e vuote, pensa l’aria lì dentro, i colori, gli oggetti, la luce che cambia, tutto che accade per nessuno, luoghi orfani, loro che sarebbero I LUOGHI, gli unici veri…se ci pensi che mistero, che ne è di loro, dei luoghi veri, del mio luogo vero, dove sono finito IO mentre ero qui a difendermi, non ti succede mai di chiedertelo? Chissà come sto, IO? Mentre sei li a dondolare, a riparare pezzi del tetto, a lucidare il tuo fucile, a salutare quelli che passano, di colpo, ti viene in mente quella domanda, chissà come sto IO? Vorrei sapere solo questo, come sto, IO? Qualcuno sa se sono buono, o vecchio, qualcuno sa se sono VIVO?”
- A. Baricco -